Sembrava
passato un attimo, saranno state almeno tre ore. Supino, immobile, lo
sguardo a fissare il soffitto. Nella mia staticità i pensieri si
agitavano in un turbinio di immagini e preoccupazioni. Non avevo mai
odiato tanto le mie sinapsi.
Prima
di un lungo viaggio non riesco, forse non posso, addormentarmi. Era
così quando ero poco più di un bambino, è così ora che ho quasi
trent'anni. Questa volta, tuttavia, non erano le sette ore di treno e
l'ansia di non arrivare in tempo al binario a togliermi il sonno.
Forse in parte sì; ma quando ad attenderti c'è l'ultimo inesorabile
incontro con il futuro che avresti voluto, con il tuo recente passato,
le insicurezze si amplificano esponenzialmente. Se a questo si
aggiunge il mio atavico pessimismo, l' ipnotico rapporto con il
soffitto di camera è facilmente spiegato.
Monica
vive e lavora a Marsiglia. Doveva essere un trasferimento provvisorio
dovuto ad un Master post-laurea ma si è trasformato, col passare dei
giorni, nella tomba della sua passione. Il rapporto non è più lo
stesso da qualche settimana, forse qualche mese. In origine facevo
della frase “la distanza fortifica l'amore” il mio mantra
quotidiano, la mia ragione di vita. Ora le mie paranoie, le mie
insicurezze, le mie paure, ne hanno preso violentemente e brutalmente
il posto. Oggi, com'era ovvio che fosse, tutto questo avrà fine; mi
ha chiesto di andarla a trovare, mi vuole parlare. So di non essere
uno stupido, ho la piena consapevolezza di ciò che sta per accadere
e non voglio illudermi. Sarebbe solamente più doloroso.
Il
bagaglio è pronto nell'atrio. Non guardo l'orario, so di essere in
anticipo. Per la prima volta decido di rinunciare al caffè
mattutino; i miei nervi non ne hanno davvero bisogno. La stazione di
Genova Principe dista poche centinaia di metri dal mio
appartamento,non più di cinque minuti a passo svelto: tanto vale
avviarsi.
Via
Balbi sale dolce ma inclemente verso l'ultimo luogo che vorrei
raggiungere, ora come ora la più aspra delle destinazioni. È
presto, ma sorprendentemente soleggiato; la luce però, malgrado non
abbia dormito, non mi infastidisce. Allo stesso tempo, la strada è
più deserta di quanto mi aspettassi. Incontro una manciata di
persone, nessun viso conosciuto; a dire il vero sono così immerso
nel mio malessere da non badare ai lineamenti dei pochi passanti che
incrocio, come fossero manichini privi di tratti e colore. Non smette
di risuonarmi nelle orecchie ciò che Monica mi dirà, come me lo
dirà, quanto farà male.
Senza
rendermene conto sono al binario; il silenzio in stazione è
irreale,quasi spaventoso. Non guardo l'ora ma so che il treno sta per
arrivare. Aspetto l'annuncio dell'altoparlante come un liceale
attende il suo cognome prima di un' interrogazione; la voce
registrata delle Ferrovie, preceduta dal suono del mio citofono, non
si fa attendere. Lo stridio dei freni sui binari, il fischio del
treno in prossimità della fermata, ancora una volta il suono del citofono. Il citofono....
Spalanco
gli occhi e le immagini della stazione, che fino a un istante fa
erano nitide davanti ai miei occhi, svaniscono improvvisamente. La
luce soffusa ma pungente della lampada, non ricorda il candido e
piacevole chiarore del sole in Via Balbi; a fatica riesco ad aprire
completamente le palpebre. Il citofono continua a suonare. Mi
precipito nell'atrio e inizio a rendermi conto di ciò che mi
aspetta. Avevo sì un appuntamento, ma non ero io che dovevo
viaggiare.
Monica
è li, che mi fissa sull'uscio. Sorride, e questo basta a placare le
mie ansie, a frenare le mie paure. È sufficiente un suo abbraccio e
le immagini di prima non sono che un effimero ricordo in bianco e
nero. È sufficiente un barlume del suo amore e il mio subconscio
tace. Per un istante il tempo si ferma, come in un sogno, meglio che
in un sogno. Non so quanto resterà, non m'importa. Finché è qui
con me, non ho davvero niente da temere.
Federico
E. Mariotti
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